Le memorie di Nicolò Gavotti

Chi ha deciso di aggiungere alla propria biblioteca questa raccolta di memorie di Nicolò Gavotti, vuol dire che conosce questo leggendario protagonista della Prima Guerra Mondiale. Di solito all’inizio di ogni tomo si introduce l’autore con la sua biografia, questa volta invece, basta scorrere le prime pagine del primo libro per avere tutti gli elementi per rispondere alla domanda: < Chi era il Marchese Ingegnere Nicolò Alberto Gavotti?>. Questa raccolta di memorie è stata suddivisa in tre libri, scritti in tre periodi diversi: 1924, 1929 e 1932, uniti dallo stesso titolo “LA GUERRA DEL MIO GRUPPO ALL’AUSTRIA”. Nel sottotitolo troviamo invece lo stato d’animo e il luogo narrato. Gavotti narra in modo semplice e leggero, a volte ironico, le vicende della 310a Compagnia di milizia territoriale (all’inizio 10a Compagnia). Ben presto riconosciuta da tutti come la “Compagnia Lavoratori Gavotti”: fu il solo in tutto l’esercito ad aver ottenuto di dare il proprio nome ad una compagnia di militari. Durante una ricerca sulle opere militari della grande Guerra sui Monti Lessini ho trovato con stupore il nome di Nicolò Gavotti. Lo conoscevo per le sue opere sul Sabotino e per la galleria del Monte Grappa non immaginavo che proprio a Verona fosse iniziata la sua impresa militare. Prima presso la Caserma Pastrengo nei pressi di Porta Nuova dove si trova il Deposito del Genio, incaricato del reclutamento e formazione delle Compagnie, attinte dalle classi di leva dal 76 all’81, e poi sui Lessini nella parte occidentale sopra il paese di Erbezzo dove aveva stabilito il suo qartier generale a malga Revolto, oggi malga Revoltel. Nei mesi di permanenza sui Monti Lessini, dal maggio a novembre 1915, diresse i lavori per la costruzione delle strade che dal paese di Erbezzo giungevano a Castelberto ed il collegamento con la Sega di Ala e con malga Podesteria verso Bosco Chiesanuova. Il 13 novembre 1915 il Gavotti con la sua Compagnia lascia le montagne veronesi per giungere a San Martino di Quisca, oggi Šmartno nel Colio Sloveno. Nicolò Gavotti scrisse le sue memorie e le fece stampare per farne dono ai suoi Barbigioni, così chiamava simpaticamente i suoi soldati. Per questo motivo alla fine dei primi due libri elenca più di trecento nomi tanti erano i suoi lavoratori, precisamente la “Compagnia Lavoratori Gavotti”. Tanti di quei nomi hanno trovato uno spazio da protagonisti in vicende ora spiritose, ora drammatiche che hanno inorgoglito chi le ha scritte e immagino anche chi ci si è trovato, e ha potuto dire alla moglie e ai suoi figli: <Quello ero io>.
Dalla lettura dei particolari narrati e dallo spirito inusuale di un comandante come lui stesso racconta: Io ricevetti soldati anziani, pacifici quanto mai, artigiani che col lavoro loro sostentavano le famiglie numerose, anzi le più volte numerosissime; ne feci l’ossatura del mio Gruppo che fu detto il Gruppo di ferro… Erano l’antitesi del soldato, anzi poco ben disposti a sopportare fatiche che nell’opinione dei più avrebbero dovuto essere compiute dai giovani. Di pericoli neppure il più lontano accenno! La laboriosità loro soccorse; l’intelletto si convinse che niun altro avrebbe potuto compiere quei lavori grandiosi per l’offesa al nemico valoroso ed avveduto; il cuore sentì che si sarebbero salvate innumerevoli vite; i nervi restarono dominati.
Ho deciso di ristampare la raccolta in forma anastatica, vale a dire che i libri sono stati riprodotti cercando di rispettare tutte le indicazioni tipografiche ad eccezione dell’inserimento dell’indice sfruttando una pagina vuota. Le immagini hanno una qualità appena sufficiente, questo dovuto agli originali che con le tecnologie del tempo non potevano esprimere una definizione di riguardo. Per le mie note editoriali ho utilizzato questi risvolti di copertina.

Non poteva essere quella di Paolo Boselli più adatta prefazione al secondo libro di memorie di Nicolò Gavotti. Fu Boselli, amico di famiglia di lunga data dei Gavotti a garantire sull’affidabilità del pretendente alla mano di Adelaide dei Conti Broglio, figlia del Senatore Ernesto. Nel 1902 dopo una corte serrata Nicolò sposò Adelaide.
Lettera del cavaliere Paolo Boselli, primo segretario di Sua maestà il Re per il Gran magistero mauriziano al marchese ingegnere Nicolò Alberto Gavotti.
14 Febbraio 926
Egregio Marchese
A leggere il Suo libro è una delizia tanto vi è in esso di spirito, di cuore, di sincerità, di vita vera: esce dal focolare intimo con tenerezza virile, finisce sul Grappa, con gloria eroica, che invano tende come a scomparire.
L’autore non somiglia che a se stesso e pare non voglia agli altri, ai più, rassomigliare.
Nelle sue pagine vi è il genio ligure: indipendenza, famiglia, opera assai più che detti, pronto il frizzo, e la forza forte e ardita perché è potenza individuale.
Ignaro Lei, ignaro sempre del famoso Regolamento ella ne aveva troppo avendo in se una disciplina propria di idee, d’ordine, di propositi, di volere?
In realtà, elle seguì una disciplina sua. Come rileva bene due errori della guerra: l’inutile consumo di uomini (ella salva i suoi soldati): e l’improvviso mutare dei conduttori degli uomini.
E’ un tratto notevole quel suo che riguarda l’eguaglianza e interpreta il precetto evangelico.
Vi è nel suo libro della tradizione intellettuale. Nel suo libro v’è qualche cosa che mi ricordò il fare di suo padre, nei libri di Lui. Vi è la poesia di Albisola e quella del Grappa insieme: l’Estate della Galleria e il Grappa: poesie così diverse eppure unite sotto la sua penna. Poesia d’Albisola, dimora di un Doge amico della arte  edificò e dove il poema ausonico espresse il sentimento patriottico, che albergò sempre colà. Se tutto mazziniano non so: ardente di libertà sì e sempre.
La vivacità del libro alcun tratto mi fece pensare alla sua vivacissima Madre, ch’io conobbi nel fiore della bellezza e che bellezza perfetta bellezza.
Insomma questo suo volume, pure con certi scatti peregrini e certi atteggiamenti suoi, è un volume efficacemente educativo: animo aperto, energia libera, fraternità non a parole, Donare fino al sacrificio valevole per il dovere.
Vi è, sotto la veste di una supposta, predilettaincompetenza di storico militare ed è un volume di storia militare attraente che va narrando dalla piccola cronaca e dall’anima del soldato fino alle gesta vittoriose della scienza operante col valore delle armi.
Piace la forma propria e famigliare rivolta ai suoi figli. Per essi il libro è un esempio vivo: la gloria paterna un vanto da non disperdere.
E penso, pensando ad essi all’avo materno, amico mio carissimo e nel Parlamento, nel Governo lume di sapiente consiglio e specchio di nobili opere: uno di quelli uomini, che spesso si ricordano, perché consiglieri di cose saggie e buone.
Lasciai correre la penna, dopo aver letto con piacere e lasciai parlare alcune delle mie impressioni. I vecchi ricordano e sono troppo lunghi. Ma c’è tanta gioventù nel suo libro che ne ridona un guizzo anche ai vecchi lettori.

Con vivo saluto Obb.mo P. Boselli

Se nel primo libro Gavotti narra come ha amalgamato e fatto affiatare i suoi soldati al lavoro militare, in questo secondo descrive come ha messo in pratica le sue idee tese a rendere più efficaci le azioni di attacco, costruendo appropriate linee difensive per l’avvicinamento all’avversario. È lui stesso che scrive: costruendo in caverna per le truppe, con accessi in galleria o con camminamenti profondi, le fanterie, al riparo del tiro nemico, avevano la possibilità di rimanere immuni dalle azioni di contropreparazione dell’avversario… Così pure le postazioni delle artiglierie operanti in appoggio alla fanteria, realizzate in faccia alla linea avversaria, ma con cannoniere in caverna e nidi di mitragliatrici pur essi in caverna, con accessi in galleria dalle spalle del monte, potevano con tiro diretto, portare il maggior danno con poco rischio di essere colpite.
Sul Sabotino prima e sul Grappa poi ha salvato con le sue opere migliaia di vite umane.

Sfogliando le prime pagine di questo terzo tomo, l’ultimo delle memorie di Nicolò Gavotti, si rimane colpiti e confusi da quello che chiama “Indice delle quattro parti”. Vero e proprio rimescolamento dei sottotitoli dei tre libri (ad eccezione del primo). Si rimane confusi dall’inserimento di un quarto libro dal titolo inequivocabile “Parte IV. La guerra sentita. Il Grappa.” Il titolo non lascia dubbi sulla volontà di aggiungere una ennesima memoria sulle vicende del Gruppo lavoratori Gavotti anche per quel settore.
Dopo numerose ricerche, di questo libro non è emerso da nessuna parte un benché minimo indizio o riferimento al di fuori di quanto indicato in quest’ultimo dall’autore dell’opera. Sin dal primo libro numerosissimi sono le citazioni e gli avvenimenti accaduti sul Monte Grappa. Viene da chiedersi allora perché così tanti riferimenti al Grappa se poi l’intenzione è quella di scrivere un intero libro di memorie. Chissà, forse il libro è raccolto in minute veline racchiuso in un anonimo faldone.
Questo terzo tomo è l’attenta descrizione del Monte Sabotino e delle opere costruite dopo la sua conquista nell’agosto del 1916. Preziosa è l’analisi che Gavotti fa delle difese austriache e il raffronto con quelle degli italiani.
Non manca anche in questo ultimo libro il ricordo dei veri protagonisti che resero famose le imprese narrate del loro Comandante.
Così scrive Nicolò Gavotti:
Dunque: Quisca, Sabotino, Vodice, San Gabriele, Ponte della Priola, Monfenera e Cima Grappa. Sono tappe gloriose per i miei barbigioni!… Il Gruppo da Caporetto in poi, questa volta è proprio Gruppo e viene considerato come una unità a sè; una unità alla macchia secondo il detto del buon comandante del VI corpo d’Armata, S. E. Lombardi, che è poi colui che lo ha battezzato.
Ma per giungere a questo punto sette crolli e sette ricostruzioni!
Dovrei ricomporre il famoso dilemma dei filosofi da strapazzo: se la mia unità era un bene perchè è stata tante volte distrutta; e se era un male perchè fu lasciata nascere e rinascere, per poi essere glorificata sul Grappa?… Ed in ogni modo quanta energia dispersa, quanti materiali dispersi, e quanti sacrifici dispersi, per coloro che non domandavano di meglio che faticare utilmente!Ne traggo questa proprio mia personalissima conclusione: se io ho voluto e son riuscito a trattenere con me tutti i miei ufficiali e soldati per tutta la guerra, resistendo a sette crolli, per certo, debbono essere stati anche i soldati e gli ufficiali miei che hanno voluto restar con me e così i sette crolli hanno concluso con sette ricostruzioni.
Ciò è avvenuto, dico, perchè mi potei permettere, senza minimamente compromettere la disciplina, di essere opportunamente famigliare coi soldati e in genere coi dipendenti, e ne ottenni tutta la collaborazione; soprattutto perchè amai i soldati e amai la vita con essi.
Ho già detto troppo del mio Gruppo (col G grande)?! Via, non ne parlerò proprio mai più, assolutamente; mi si dia atto e mi si perdoni questo definitivo e ultimo accenno
.
Con queste ultime parole vi accompagni una buona lettura.
Il curatore della riedizione: Franco Bottazzi.