UNO SGUARDO DAL LITORALE

1916 LA GUERRA IN MONTAGNA

LA GUERRA IN MONTAGNA   Mai prima e mai dopo. Queste parole sintetizzano la realtà del fronte alpino della prima guerra mondiale. Mai prima si videro imponenti masse d’uomini concentrate in un solo scopo: rendere accessibili e quasi vivibili luoghi ben oltre i 3.000 metri di quota al solo fine di potervi combattere. E mai dopo, anche se rari episodi ci furono, ma limitati a singoli reparti e per brevi periodi come per esempio la incruenta conquista dell’Elbrus, m. 5.319 da parte tedesca nel 1942 protrattasi fino al 1943, anno nel quale tutto il Caucaso venne abbandonato dagli occupanti. L’unica autentica guerra in montagna successiva al 1918 è quella tra l’India e il Pakistan, il conflitto detto del Siachen combattuto tra il 1984 e il 2003 nella zona dell’omonimo ghiacciaio sito nel Karakorum, vasto oceano di ghiaccio che separa la Cina dall’India chiamato anche terzo polo, a quote che vanno dai 3.620 metri ad un massimo di 5.753; questa guerra, anche se silente, è ancora in corso. Sebbene combattuto a bassa intensità, il conflitto è stato costoso per entrambe le parti: sia l’India che il Pakistan hanno rifiutato di emettere cifre ufficiali, ma le stime contano tra i 2.500 ed i 5.000 caduti complessivi di cui almeno il 90% causato da frane e valanghe, dalle condizioni ambientali o da malattie dovute all’altitudine. Un dato che conosciamo anche rapportandolo alla prima guerra mondiale. Il fronte austro-italiano nasce in riva al mare Adriatico, tra Monfalcone e Duino e si estende poi per circa 650 chilometri fino alla vetta del monte Ortler, metri 3.905, allora la montagna più alta della Duplice Monarchia. Tolto il tratto che va dalla costa a Tolmino, circa 50 chilometri in linea d’aria, il resto è montagna, più o meno alta, ma sempre montagna. Prealpi e Alpi Giulie, Alpi Carniche, Dolomiti, la zona degli Altopiani per salire poi attraverso il Lago di Garda e una delle zone meno note della guerra in montagna in direzione del Tonale proseguendo poi fino alle cime più citate il Corno di Cavento, il Carè Alto, il Cevedale o il San Matteo in direzione delle quote più elevate del confine di allora. Perseguire per anni lo scopo di conquistare cime sembra, nell’ottica di oggi, una cosa assurda, una inutile fatica e uno spreco di uomini. Ma nell’ottica militare di allora aveva un senso, dato che le valli erano più o meno sbarrate da forti e opere permanenti oltre a essere rese inaccessibili dalle artiglierie poste sulle cime circostanti. Così l’attenzione si spostò dallo sfondamento in pianura a un lento aggiramento conquistando o tentando di conquistare una cima dopo l’altra. La stessa sesta battaglia dell’Isonzo, combattuta al fronte isontino riesce alla fine proprio perché gli italiani occuparono le cime: il san Michele, metri 275, il Podgora, metri 241, il Sabotino, metri 609, aprendo la via verso Gorizia. Cime basse, se confrontate a quelle della catena alpina, ma altrettanto importanti per liberare una possibile via di penetrazione. La guerra in montagna causò una infinita serie di lutti. Una stima fatta da Heinz von Lichem riguardante la somma dei morti di ambedue i contendenti parla di circa 180.000 morti, dei quali 60.000 per valanga, altrettanti per malattie, stenti, privazioni e sfinimento. Solamente, se così si può dire, l’ultimo terzo è morto in combattimento. Per quanto possa sembrare impossibile la sola notte tra il 12 e il 13 dicembre 1916, passata alla storia come Santa Lucia Nera, vide 6.000 morti per valanga tra i soli austriaci e circa 4.000 tra gli italiani; di quella terribile notte si ricordano episodi che videro i due contendenti rifugiarsi assieme o assieme scavare per liberare i compagni sepolti. 

Una sola notte, senza guerra: 10.000 vittime. Come tutto questo riguarda una mostra come Uno sguardo dal Litorale – Pogled s Primorja e le storie dei nostri nonni? Molto da vicino e non solo per la guerra al fronte giulio – carnico, ma anche nei settori più lontani, che conobbero l’impiego di reparti o singoli soldati provenienti dal Litorale. Ricordiamo, per fare un esempio, la 38^ Compagnia di Marcia del KUK IR 97, impiegata in Tirolo nel 1918 nei trasporti in montagna, o i caduti sepolti nei vari cimiteri o ricordati nelle cappelle delle alpi Giulie e Carniche, come il soldato triestino Cesare Bartolini impegnato in un corso mitraglieri ed impiegato, come dice la memoria, nel combattimento a Nord di Plöcken  dove è caduto il 20 giugno 1915, o il membro di una Battaglione di Tracomatosi, impegnato sulla dorsale carnica e ricordato in una lapide posta nella cappella vicino al rifugio Steinwender, ora rifugio Zollnersee, metri 1750, in Austria. I reparti reclutati nel Litorale vennero coinvolti in diversi episodi della guerra alpina: ricordiamo l’impiego del II Battaglione del V. Landwehr (dal 1917 V. Schützen) a Cima Cece, metri 2.754, nella catena del Lagorai; i caduti di questo reggimento, originariamente sepolti a Ziano di Fiemme dovrebbero ora riposare nell’ossario del Pordoi, dopo la dismissione del piccolo cimitero. Il LIR 27, poi Gebirgsschützen Regiment Nr. 2 sul Monte Rombon, il KUK IR 17 sugli Altopiani, il Feldjäger Bataillon Nr. 7 sull’Ortigara – Campigoletti. Ma non basta. Anche cause di lontani eventi riescono a toccare i reparti del Litorale: il 2016 è anche l’anno del centenario della Maj Offensive, nota in Italia come Strafexpedition, la più grande battaglia mai combattuta in zona montana che portò le truppe della duplice monarchia a un passo dallo sfondamento del fronte; per fermare l’avanzata venne chiesto a gran voce l’aiuto della Russia, che organizzò la così detta offensiva Brusilov, offensiva che costrinse gli austro ungarici a spostare numerosi reparti dal Südwestfront (quello austro italiano) a quello orientale, fermando di fatto l’avanzata verso la pianura veneta. Ma non solo, nel corso della offensiva Brusilov il reggimento 97 si trovò direttamente sulla direttrice di marcia dei russi, subendo molte dolorose perdite di concittadini e corregionali. Storie e fatti mai disgiunti, mai a caso, narrati nel nuovo allestimento.

2016
LA GUERRA IN MONTAGNA Mai prima e mai dopo. Queste parole sintetizzano la realtà del fronte alpino della prima guerra mondiale. Come tutto questo riguarda una mostra come Uno sguardo dal Litorale – Pogled s Primorja e le storie dei nostri nonni? Molto da vicino e non solo per la guerra al fronte giulio – carnico, ma anche nei settori più lontani, che conobbero l’impiego di reparti o singoli soldati provenienti dal Litorale.
Video e montaggio di Claudio Sepin

Webmaster Franco  Bottazzi

Copyright ©  2002 – 2021 Tutti i diritti riservati